Poche grandi letterature di cultura possono esibire, in Europa, accanto alla produzione in lingua, una produzione in dialetto – vale a dire in idiomi regionali alternativi e spesso concorrenti della lingua nazionale – altrettanto ricca e varia di quella che caratterizza la tradizione italiana; probabilmente nessuna può eguagliare il livello qualitativo di questa letteratura dialettale, che a partire dal Cinquecento, cioè da quando si comincia ad acquisire piena consapevolezza della “alterità” del dialetto rispetto alla lingua, della sua “subalternità” ma anche capacità di competere con questa, fiorisce rigogliosa in molte regioni d’Italia, dando vita spesso a cospicui filoni locali che esprimono talvolta personalità artistiche di grande rilievo: e basterà ricordare i nomi di Angelo Beolco detto il Ruzzante, pavano; dei napoletani Giulio Cesare Cortese, Filippo Sgruttendio, Giovan Battista Basile, più tardi Salvatore Di Giacomo e Rocco Galdieri, Ferdinando Russo e Raffaele Viviani; dei milanesi Carlo Maria Maggi e Francesco de Lemene, fino a Carlo Porta e oltre; dei veneziani Goldoni e Gozzi, dei siciliani Meli e Pirandello, dei romaneschi Belli e Pascarella e Trilussa, e così via.
Nomi di spicco che non di rado scorrono velocemente, ripercorrendo il panorama storico della letteratura italiana, quando non siano del tutto soppressi, e quasi mai vengono messi a fuoco nel contesto ambientale e di tradizione locale in cui è maturata la cultura letteraria di cui sono portatori: così che di essi si acquista una visione individuale e di fatto inautentica, se non deformata, perché svincolata dal quadro culturale in cui la loro opera va a collocarsi.

Il recupero di quest’ultimo sembra dunque non solo un’esigenza prioritaria di una moderna e non banale storiografia letteraria, ma l’unico modo per soddisfare l’esigenza di valorizzare quelle componenti locali della storia culturale d’Italia su cui non a torto, anni fa, richiamava l’attenzione Carlo Dionisotti, nel celebre saggio Geografia e storia della letteratura italiana (1949-1951); e l’unico modo per fare correttamente un’opera storiografica, adeguata alle peculiari condizioni della vicenda storica che s’intende ricostruire. E va da sé che non è possibile recuperare al quadro storico della cultura letteraria italiana la fitta tramatura di tradizioni locali, regionali, municipali, che lo distingue, lo nutre, spesso lo vivacizza, se prima non si sia proceduto innanzitutto al censimento e al recupero dei testi, nella gran parte ignoti e impraticabili perfino agli eruditi locali; ma anche, e non secondariamente, dotato quelli degli strumenti interpretativi necessari per renderli fruibili da un pubblico più vasto, e insomma per acquisirli stabilmente al patrimonio della cultura nazionale. Partendo naturalmente dai primi e più antichi documenti non ancora classificabili come dialettali in senso proprio, ma spesso piuttosto come volgari, ed estendendo la documentazione, al di là dei testi di cosiddetta letteratura dialettale «riflessa» – cioè di letteratura “d’arte”, con dialettalità ricercata –, a quelli di letteratura dialettale «spontanea», prevalentemente «popolare», in cui l’uso del dialetto è appunto «spontaneo», e corrisponde all’unico strumento espressivo del produttore del testo. Ma insieme questi documenti, consentono (o possono consentire) la ricostruzione di un quadro storico-linguistico non meno interessante e certo imprescindibile per il quadro storico-letterario.

A questo scopo è stato elaborato il progetto di una serie di antologie di testi riservate per ora a «Le grandi letterature dialettali d’Italia», concepite secondo un disegno unitario già in qualche modo sottoposto a verifica in un Convegno organizzato dal Centro Pio Rajna e svoltosi presso l’Università di Salerno nel novembre 1993, dal titolo Lingua e dialetto nella tradizione letteraria italiana, che daranno nell’insieme un primo decisivo contributo al soddisfacimento della esigenza sopra indicata. Ogni antologia offre un’ampia selezione di testi prevalentemente di letteratura dialettale riflessa, ma con buona presenza anche di testi volgari fortemente venati di dialettismi, di documenti non strettamente letterari, purché significativi nella tradizione dialettale, di esempi di letteratura dialettale spontanea, preceduti da un’ampia Introduzione storica e da una bibliografia generale. Ogni autore o capitolo si apre con un breve ma denso “medaglione” introduttivo, seguito dalla bibliografia specifica. I testi sono sempre accompagnati da traduzione letterale e da un commento essenziale a piè di pagina, nonché giustificati in una finale Nota sui testi; mentre una essenziale Nota sul dialetto chiarirà i confini linguistici della letteratura esemplificata.